Oggi parliamo di competenze con Roberto Pancaldi, Managing Director di Mylia – Advancing Humanity (The Adecco Group). Il cambiamento passa dall’adozione di nuove tecnologie, ma soprattutto dalle competenze delle persone che dovranno guidare queste tecnologie in azienda. Per questo motivo la figura professionale del Digitalization Manager diverrà indispensabile in qualsiasi impresa desideri intraprendere un percorso di trasformazione digitale.

(L’intervista è tratta dal libro “Costruire l’impresa intelligente”Gualtiero Fantoni, Annamaria Natelli, Marcello Braglia).

Roberto, in qualità di Managing Director, ci racconta qualcosa di più su Mylia?

Mylia è il brand di The Adecco Group specializzato nella creazione di percorsi di sviluppo e ha come obiettivo quello di analizzare, interpretare e definire i bisogni delle persone nelle organizzazioni, nell’ottica di migliorare l’employability degli individui e la competitività delle aziende. Chiunque occupi una posizione di responsabilità, sa bene che non può prescindere da una costante evoluzione delle proprie skill professionali: questa consapevolezza di sé è il punto di partenza per la definizione del percorso di sviluppo. Un percorso ad hoc, che pone al centro il talento e le potenzialità della persona: valorizzandone le peculiarità piuttosto che colmandone i gap. Oggi, l’intelligenza artificiale supporta l’analisi dei fabbisogni formativi, rendendo possibile quello che la formazione di solito non fa mai, cioè assicurare a ciascuna persona la corretta formazione in risposta ai suoi specifici fabbisogni. […] Proponiamo interventi formativi e di sviluppo organizzativo che rappresentano un’occasione di crescita per tutti i livelli aziendali: fondamentali per favorire la capacità innovativa.

Ma quanto sono mature? Com’è possibile orientare le aziende nel loro processo di trasformazione digitale?

Mi sembra utile intanto fare una distinzione tra innovatori e veri pionieri: esistono realtà aziendali che stanno utilizzando le opportunità delle nuove tecnologie, AI, robotica e digitale, non solo per automatizzare processi, ma per ridisegnare interamente la loro architettura del lavoro, creando così organizzazioni con nuovi profili di competenze e percorsi di carriera interni.

Sulla maturità delle aziende è importante non solo capire quanto siano mature o meno rispetto ad uno standard o ad un potenziale, ma anche qual è la distanza tra la consapevolezza che hanno di sé e la realtà di fatto. Serve dunque aiutare le aziende a guardarsi “nello specchio del 4.0” perché è il miglior modo per dargli anche una ownership di un possibile percorso di miglioramento. Dalla nostra esperienza in comune sull’orientamento delle aziende nel loro processo di trasformazione digitale, abbiamo capito come molto spesso queste aziende al loro interno siano composte di isole che comunicano a fatica tra loro. Alcune di esse rappresentano delle punte di eccellenza nel campo delle tecnologie digitali, altre invece sono ben lontane dal loro potenziale. L’immagine percepita dipende quindi molto dalle isole alle quali ci rivolgiamo, e la risposta può di conseguenza essere sovra o sottostimata rispetto alla realtà di fatto. […] Serve una mappa accurata per navigare nella trasformazione digitale, al di là di facili slogan, e strumenti precisi che ci aiutino a tracciare la rotta corretta.

Se la trasformazione digitale di un’organizzazione passa tanto dagli aspetti tecnologici quanto dalle persone, come possiamo garantire una giusta risposta al fabbisogno di competenze digitali?

Tutti sappiamo bene che il cambiamento passa dall’adozione di nuove tecnologie, ma soprattutto dalla capacità delle persone che queste tecnologie devono muoverle e guidarle. Qui c’è un discorso interessante da fare sulle competenze “digitali” e quelle che servono per la “trasformazione digitale”, che è un discorso più a grana fine di quanto si possa a prima vista immaginare.

Partiamo da una domanda molto pragmatica: c’è più bisogno in azienda di una persona che sia in grado di scrivere i requisiti e di costruire i test per il corretto funzionamento di un software o di una persona che sappia scrivere il software? In questo momento c’è a mio avviso una sopravvalutazione della stretta necessità di una competenza tecnica specifica come unica condizione abilitante (in questo caso parliamo di coding): chi lo scrive, e anche bene, possiamo trovarlo all’esterno della nostra azienda, mentre è molto più difficile forse trovare sul mercato del lavoro qualcuno che sia in grado di capire perché abbiamo bisogno di quel software. Una persona che si faccia cioè interprete di una domanda interna e che sappia scegliere bene chi quel bisogno dall’esterno lo possa soddisfare. Allargando questa riflessione, favorire la trasformazione digitale significa quindi anche saper preparare un documento (o un reparto) per accogliere appieno le opportunità di un upgrade tecnologico.

[…] Tornando alla nostra domanda iniziale, possiamo dunque pensare di avere bisogno di un coder, ma in realtà abbiamo bisogno di qualcuno che sappia scrivere i requisiti per chi deve scrivere il codice. Nella prossima era dell’intelligenza artificiale, quali task dovranno essere presidiati da un operatore che fornisca intelligenza umana ad un’applicazione artificiale? Le aziende leader riconoscono che le tecnologie sono più efficaci quando sono complementari agli esseri umani, non il contrario. I lavori del futuro saranno più orientati al servizio, alla capacità di interpretare, creare, comunicare efficacemente, capire contesti diversi e risolvere problemi complessi.

Le nuove tecnologie non rubano il lavoro, ma ne creano di nuovo e più interessante. […]

 

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